Se il cuore è una voce, la gentilezza è un coro
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terra da così poco riavuta,
ce l’avevo sotto i piedi
sulla punta delle dita
delle mani,
ma da un giorno all’altro
non ho saputo più respirarla
non ho trovato
degli occhi nuovi
adatti a percorrerla.
Un albero solo
sotto le stelle del cielo di marzo
ha prevalso nel mio sguardo
su tutte le cose.
Forse perché gli assomiglio.
La mia casa sprofonda
senza le sue radici,
la mia amica è un fiore di peonia
che sboccia lontano ogni giorno,
il mio amore è un vulcano seduto,
è così distante,
sul suo pianeta,
che una volta era il mio,
lì cantano ancora al sole
tanto che ognuno
quando canta
può dire il sole
suo,
almeno per un attimo.
La paura è dovunque,
oh, come la sentono i nostri animali
la paura,
sopravvivranno a tutto il nostro dolore? Sì, mi dico, loro conoscono,
loro soli,
l’immortalità.
E allora chi era la donna in me
in piedi sotto il cielo scuro di primavera?
Chi è la bambina in me
ora che mi rannicchio
in un angolo di letto?
La mia voce si perderà
nel vento delle connessioni
spente o accese?
Mi aiuta a rialzarmi
un suono antico,
forse qualcuno che mi chiamava in sogno,
forse qualcuno che quando cadevo
mi rivolgeva il sorriso e la mano,
qualcuno che mi aspetta sempre al cinema d’infanzia,
poche persone vere
che mi amavano, anche adesso
le sento
e per ultima ci sono io
che mi stringo forte come fossi primavera
per ricordarmi che ci sono ancora
sotto le lacrime,
come un sasso
bagnato dalla pioggia
luccica di vita
di fronte al mare in tempesta.
per allontanarci da noi?
Ora ci ripieghiamo come turbini,
la testa si avvicina al cuore,
siamo un filo che si tiene
in un nodo
al centro
per sentire se una voce
ancora c’è.
Quale distanza incolmabile
fra i nostri occhi
e quello che siamo diventati?
Quanto è pesante
la porta che abbiamo
ai confini dell’anima
e quante volte ci rigiriamo la chiave
fra le dita
ben sapendo,
mentre ponderiamo,
che sia l’unica,
che in realtà abbiamo già scelto
poiché la scelta nasce con noi,
qualunque essa sia?
La porta è come il respiro,
potrebbe essere sbarrata,
piena di segni e graffi
come un viso
come la scorza di un frutto,
col divieto di oltrepassare,
socchiusa come quando rimani in attesa,
aperta ma in realtà tanto vuota.
Potrebbe anche essere chiusa
come un fiore al mattino
che non ha ancora finito
di proteggersi dalla notte
ma ad un tratto lo tocca
un soffio di sole,
una finestra di luce lo vede,
i suoi petali decidono che è tempo
di protendersi nell’aria.
Quella finestra
sono i tuoi occhi gloriosi,
col fuoco della guarigione
hanno scardinato i cardini
distrutto le serrature
attraversato l’inverno
scansato la nebbia
per arrivare a te,
col calore di un bacio ammantato,
col chiarore di una stella
nel giorno che sorge.
Ora il nodo
è scomparso,
siamo fili d’erba
ancorati nel mare di tutte le cose
ondeggiamo liberi
nel vento dove riecheggia
il nostro nome.
la luce batte in me come sulla finestra di fronte,
siedo davanti al cielo azzurro,
sul telo dove poggio
c’è scritto “libera”.
Le mie dita hanno raggiunto
la mia pelle in un abbraccio
e mi sembra quasi di essere
nuova al tatto mio.
Queste mani non mi faranno del male,
da loro l’estraneo non uscirà.
E se questo cielo da fermo
si svegliasse,
diventasse un mare,
poi d’improvviso affogherei,
sola ed invasa allo stesso tempo?
Non se, con queste braccia,
trovo la via,
l’aria diventa mia
se solo oso prenderla.
Ci sono ancora il verde ed il giallo
sulle foglie di questo mondo,
continuano a mostrare il loro colore:
più lo pronunciano a voce alta
più è acceso.
La verità è che mi rimorde il timore
che dopo tutti questi giorni di sguardo lontano
sulle cose e su noi,
non ci ricorderemo più come e dove lo posavamo
prima di perderlo.
Qualora noi dovessimo smarrire chiara memoria
di quella danza che ci porta all’amore,
sarà l’amore a tornare a noi?
Si può dimenticare come si desidera?
Io non lo so,
sono poche le risposte che conosco.
Posseggo però la certezza di una candela bianca.
L’ho vista che apriva gli occhi,
di nuovo viva e rinata,
ad ogni festa
o dono di intimità.
E quando arrivava il momento per me di spegnerla
avevo paura sempre che fosse la fine,
quando invece la sua assenza
subito dopo mi lasciava accorgere
di un inaspettato inizio.
Ed anche quando abbandonavo quella stanza
e tutti i suoi affetti
per muovermi nella vita,
il profumo della candela per un po’ mi seguiva
e restava con me per poi svanire
fino alla fiamma che sarebbe venuta dopo.
Ma fra i due fuochi,
ora incerta ora caparbia,
diversa intanto che cresco,
c’ero sempre io.
Non è in fondo questo il gioco della fiammella?
La luce che batte in me altro non è che questa cera bianca
che ha lasciato buio fuori per consolarmi dentro.
che ha il volto di un bicchiere di vetro
fra le mani di un bambino,
dalla credenza al tavolo
da stanza a stanza
la misura di un cuore aperto assume i contorni
di uno spazio nel tempo che cresce e poi finisce
e nel suo centro permane
come gioia nascente.
Si incontrano e si scambiano per poi tornare al loro posto
dei sentimenti
nel tuo petto di bambino.
Non c’è al momento fonte di sete
e specchio di luce
e suono argentato
più grande
del piccolo cerchio tremante
che protetto nel bicchiere si muove fra le dita,
libero e sicuro
come un pesce nel suo lago.
Eppure, assieme al desiderio che guizza,
si consolida rombante la paura
come un’elica nel cielo del tuo stomaco,
il punto dove potrai riposare
è solo un assaggio sempre più lontano
ed i piedi confondono la direzione,
le stesse mani che recano bellezza,
una goccia d’acqua nuova e sincera
per ciascun fiore della tua bocca,
si sentono a tratti tanto deboli,
come se fosse stato loro affidato
un fardello dal peso infinito nascosto sul fondo della grazia di vetro.
Stiamo portando un messaggio,
un pasto, una residenza,
una pazienza,
una conchiglia
al nostro cuore,
una frase d’amore,
la fine di tutte le richieste,
chi farebbe domande
ad un sole?
E allora qualcosa dentro ci incoraggia
al sussurro di “Avanza”,
come quando apri gli occhi nel mattino ovattato di rumori,
come se qualcuno di molto importante ci stesse aspettando
nell’altra stanza alla fine del viaggio.
E se dovessimo cadere
noi ci fasceremo di foglie di perdono
come il ragazzo selvaggio nell’incavo della foresta.
In ogni pezzo di vetro raccolto
ci metteremo un po’ di noi
e per quanto ancora frammentati e distanti
da ciò che vogliamo,
anche questo siamo noi,
e ciò che vogliamo è qualcosa
che giunto al suo termine può rinascere.
La vera sorgente che in eterno
si svuota e si riempie.
È questo respiro che mi sostiene il petto,
la cupola del cielo che ci apre a volere.
dove non mi si chiedeva niente
e dove non c’era bisogno che mi si desse.
Era un posto dove soffiava sempre il vento
perciò l’anima diventava bandiera
senza nessuna patria da difendere
e soltanto con un tesoro su cui volteggiare.
Il calore del cielo era la ruota di fuoco,
il calore del corpo era la ruota al centro di me,
il mio ombelico,
come un vaso spezzato,
molto tempo addietro e ad ogni nuova frattura,
che lascia uscire un canto di dolore
e concede poi che si perda nei campi di neve
nelle dune di sabbia
oltre le colline.
In questo luogo ho visto che non era possibile
usare le gambe per correre e scappare
se prima non sapevo come camminare,
che a volte il coraggio richiede non di muoversi verso
ma di stare fermi dentro.
Da ogni silenzio di questo luogo
ho trovato una musica senza cercarla,
da ogni musica
un silenzio profondo e sottile mi tornava indietro,
come un velo d’aria a proteggermi
come la marea a risvegliarmi.
Era un posto dove ci si poteva sentire
dei giganti spaziosi o delle formiche lucenti
oppure ancora assomigliare ad un pulsare invisibile e senza forma. Erano consentite tutte le dimensioni
poiché non ce ne era nessuna.
Era un posto più piccolo di un granello di polvere,
un rifugio,
tuttavia era anche fatto di un’immensità sconosciuta,
assai bramata eppure paralizzante,
che rendeva i miei passi bambini
ma possibili,
vergini su una terra vergine,
una terra dove si poteva smettere
di sapere dove andare.
In questo luogo vedevo passare dall’ombra alla luce
ogni più intangibile sofferenza
di chi amo, di chi non voglio accanto e della mia persona,
come anche ogni gioia autentica
e le guardavo crescere ad ogni loro stagione
avendo dimenticato il significato della vergogna.
Questo luogo ha moltissimi colori
fra i quali puoi sceglierne uno ed indossarlo sul cuore
senza che nessuno ne sia privato
o tu ne sia il possessore.
In questo posto puoi sentirti parte
dello spazio che occupi,
del tempo che ti resta,
delle passioni che ti fanno stendere le braccia,
degli uomini e delle donne che condividono con te
il prato della vita. Ma l’unicità è importante
e sarà l’unica domanda e l’unica risposta,
sarà l’inizio –
una stella non ti fa perdere nel cielo –
e poi la fine,
una cometa che, prima di tornare nella terra,
divampa fulgida e danzante
portando il giorno nella notte.
Qui ho abitato
per alcune ore ed alcuni minuti della mia esistenza.
Questo posto pervaso di incanto e di mistero
molti lo chiamano sogno,
ma se sei in grado di trovarlo nella realtà
potrai chiamarlo solo libertà.
amore mio,
respiro dentro al suono della tua voce
affondando nei ricordi tiepidi dello scorso aprile.
Tenera e forte è la mano della mia guida buona,
donna dal nome fiorito,
che mi conduce anche ora
che il vuoto mi circonda e
l’indifferenza non smette di rompere tutte le note
e tutte le corde tese fino a me.
Ed infine a me giungo,
seduta su una parola che viaggia nell’aria,
un’altra perla di conforto.
Cosa mi aspetto dal cuore mio?
Nascerà ancora qualcosa dalla mia persona?
Il cesto è ricolmo di doni
miei o degli altri?
Non ha ancora finito di bendarsi,
questa dea giustizia degli uomini che ho in mente,
sbircia prima di promettere
e decide cosa a chi.
Ma le madri non ponderano prima di dare ai figli loro
come i rami non si risparmiano in frutti,
i padri perseverano nel sostenere
come la roccia che resiste controvento. La vera divinità costruisce la sua casa
di terra e di fango
di sangue e di ossa
dentro di noi
ed è sempre mendicante,
perché chi riconosce la forza che viene dal basso
non smette mai di ricevere,
chi si arrende a ciò che è profondo
conosce poi il vero slancio al cielo
e gli uccelli sono i primi a saperlo.
E allora poco importa se siamo cornucopia
di pesche mature
già nutrite di gioia che dovranno presto lasciare,
di radici strappate
perché, se sono cresciute una volta, si ripeteranno,
di fiori secchi
perché almeno ne riempiremo i libri
e ad ogni pagina rivivrà il loro profumo.
Non conta se abbiamo nella coppa delle mani
solo una manciata di semi,
perché infiniti sono gli alberi
infiniti i domani
se scegliamo di proteggere adesso
questo nostro giardino chiamato anima
in nome di quello che ancora non vediamo.La vera giustizia è la spontaneità,
la vera uguaglianza è la cura distinta
con la quale ci accorgiamo di ogni nostro gesto.
La vera promessa è questo dolore
che ascoltiamo giorno dopo giorno
e che sentiamo lentamente scomparire
mentre lo laviamo via.
Mi ricordo quando mi stendevo al fianco del mare,
il suo pianto ed il suo sollievo
sempre si alternavano,
tornava indietro e galoppava in avanti.
La sua voce diventava mia.
Sarebbe stato sempre così
ed a me andava bene.