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Sergio Maradei: «Omeopatia, si apra un confronto serio»

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Condividiamo con i nostri lettori un intervento del dottor Sergio Maradei, omeopata (“Omeopatia Mediterranea” – Napoli), membro del comitato scientifico Baticòs (Bio-Distretto Alto Tirreno Cosentino) e referente ISDE per l’Alto Tirreno Cosentino, sul tema degli attacchi all’omeopatia.
Sergio Maradei: «Omeopatia, si apra un confronto serio»
Prendo spunto da una puntata di ‘Mi manda RaiTre’, dedicata all’Omeopatia, per fare qualche riflessione su questo Metodo di Medicina: la trasmissione è andata in onda il 16-4 u.s. ed ho esitato un po’ prima di scrivere queste righe, perché le parole non sempre riescono a trasmettere messaggi positivi. 
Sicuramente il mio intento non è polemico né aggressivo, vedo solo un gran bisogno di chiarezza e cercherò di esprimermi con la massima pacatezza, cosa che verbalmente è ormai praticamente impossibile; infatti, noi omeopati raramente partecipiamo a dibattiti organizzati sulla materia ed io per la prima volta ne ho seguito uno, sapendo che partecipava un collega, presidente della nostra Federazione, che, come al solito, ha avuto pochissimo spazio per esprimere il suo pensiero. Tali dibattiti sono a senso unico, organizzati per denigrare la Medicina Omeopatica, senza alcuna possibilità di contraddittorio reale né di espressione autonoma del pensiero sottostante: senza voler fare processi alle intenzioni, credo sia poco corretto far entrare qualcuno in un dibattito per calunniare, offendere, ridicolizzare senza alcuna possibilità di difesa. 
Spero in queste righe di riuscire a trasmettere il mio pensiero, perché anche il nostro punto di vista sia una volta tanto ascoltato, ma temo pure che difficilmente qualcuno mi leggerà fino alla fine, mettendosi in discussione, evitando prese di posizione preconcette: in fondo non cerco ‘condivisioni’ ma ascolto da parte di chi ritiene di sapere già tutto sull’argomento e di non ammettere possibili obiezioni. Vorrei provare a trasmettere ‘contenuti’ non ‘parole’: oggi, nella società in generale, domina una comunicazione diventata un ‘assoluto’, un apparato con poca o nulla attenzione ai contenuti appunto.
  • Fatti di cronaca e Scienza.
Qualche considerazione sul contesto della trasmissione devo pur farla in apertura. Non capisco come si possa imbastire una trasmissione, di un certo tono scientifico – pur divulgativo e senza l’intento di fare vero approfondimento – su due fatti di cronaca che ormai da qualche anno stanno dominando la scena dei discorsi sull’Omeopatia, molto impropriamente. I due fatti in questione si riferiscono a due casi di pazienti deceduti  con omissione delle cure protocollari della Medicina Accademica, in quanto curati da medici che hanno voluto applicare il metodo omeopatico fino alla fine, pur senza vederne efficacia. Non voglio assolutamente entrare nel merito dei due tristi eventi, perché richiederebbe tutt’altro approfondimento, ma mi chiedo: che senso ha portare come esempi di inefficacia dell’Omeopatia due episodi di errato comportamento medico, due situazioni che hanno avuto una errata valutazione da parte di due esseri umani, forse accecati dalla difesa ad oltranza delle ‘proprie’ convinzioni in materia, almeno secondo le versioni ufficiali dell’accaduto. 
Che c’entra l’Omeopatia in tutto questo? Stiamo parlando di errori medici, di persone, non di comportamenti precostituiti immodificabili. Non vorrei scomodare Gandhi, ma già lui, fervido sostenitore dell’Omeopatia, affermava: “Come la mia non violenza, l’Omeopatia non fallirà mai, ma i suoi seguaci possono fallire, quindi è l’ignoranza della persona che deve essere condannata.” 
Oltretutto, se non si parlasse di morti, di persone che hanno subito un torto, prima dalla Malattia e poi dal Medico, mi verrebbe da dire, sarcasticamente, che si sta facendo da anni un polverone per due soli casi infausti. [Non mi permetterei mai di usare tali argomentazioni per fare dibattito: per me qualsiasi discorso su esseri viventi, quindi non solo umani, merita infinito rispetto che non può ammettere disquisizioni teoriche.] Voglio solo ribadire, cosa c’entra l’Omeopatia con il comportamento sbagliato di due persone?
            Quotidianamente assistiamo, purtroppo, a casi di fallimenti terapeutici con esiti infausti, innumerevoli, ma nessuno si sogna di dire che la ‘Medicina’ non faccia il suo compito, si tratta di errori umani o di ‘malasanità’. Basti pensare che le ‘Malattie iatrogene’ (= dovute a trattamenti medici risultati errati) sono considerate la Terza causa di morte negli Stati Uniti, dove è stato condotto uno storico studio nel 2016: sono subito dopo i Tumori e le Malattie Cardiovascolari. 
Ecco perché mi sono permesso di alludere, ironicamente, a cosa rappresentino due casi mortali del mondo omeopatico in un contesto del genere! Eppure, in tale contesto, l’errore umano (purtroppo più volte associato a ‘dolo’) è considerato ‘normale’, nessuno si ‘straccia le vesti’.
  • Cosa dice la Scienza, aprioristicamente?
Il giudizio della Scienza è a monte: di fronte a casi del genere quasi non si interviene, perché l’Omeopatia è considerata qualcosa di inesistente, per cui ogni applicazione non può avere alcun effetto se non quello, negativo, di togliere al paziente la possibilità di curarsi, per cui è scontato che si possano avere simili conseguenze. Il ‘Medicinale Omeopatico’ è acqua fresca, anzi acqua e zucchero per la precisione, perché con gli strumenti della Chimica attuale non si può ammettere presenza di molecole al livello di diluizione usuale per le preparazioni omeopatiche. 
Non sono qua a ribattere: voglio solo puntualizzare che le ricerche ci sono e dimostrano che degli effetti particolari si verificano durante i procedimenti che portano alla preparazione dei rimedi omeopatici, ma non sono presi in considerazione e ritenuti degni di approfondimento. Con una migliore osservazione e con un maggiore investimento di energie forse già si sarebbe arrivati a spiegare meglio tali processi invece di lasciarli nelle mani di pochi volenterosi ricercatori, con possibilità per forza di cose limitate. Non si può non sottolineare come tale disinteresse sia addebitabile a motivazioni ideologiche, su basi squisitamente economiche, che non possono ammettere come possibili delle manifestazioni che metterebbero in crisi tutto il castello delle conoscenze attuali.
Ma una Scienza che pretenda di sapere già tutto che senso può avere? Una Scienza che non si prenda la briga di studiare, indagare, sperimentare di fronte a dati, pur empirici, che sono presenti ormai da ben più di due secoli, che credito può assicurare? La ricerca scientifica quotidianamente fa nuove scoperte, nei campi più disparati: sono innumerevoli i fatti sconosciuti dei processi vitali, del mondo che ci circonda, così come sono stati tanti i casi in cui, già nella storia della Scienza, convinzioni errate siano state poi sostituite da nuove acquisizioni, a volte addirittura antitetiche. 
              
  • Apprendisti stregoni?
Credo che anche il buon senso potrebbe spingere a riflettere sul fatto che tutti noi operatori omeopatici, di oggi come di ieri, siamo ‘uomini di scienza’, clinici, alla pari di coloro che criticano, nel senso che partiamo dalle stesse conoscenze, ciascuno con bagaglio più o meno grande. [Già Hahnemann, il fondatore dell’omeopatia, aveva una competenza scientifica non indifferente, dimostrata all’epoca anche da vari riconoscimenti ufficiali, come pure aveva già conoscenze chimiche approfondite, conosceva lo stesso Lavoisier oltretutto].  Ci siamo solo messi, umilmente, in discussione di fronte a dati inconfutabili ed abbiamo continuato a sperimentare, innanzitutto su noi stessi. Come si può massificare e parlare di impostori che ingannano soggetti creduloni? Non voglio certo polemizzare e capovolgere tali affermazioni, citando cose che purtroppo vediamo correntemente nel contesto attuale, ma vorrei che fosse riconosciuto anche a noi il rispetto che meritiamo e che ci si affiancasse nella ricerca di oggettività che potrebbero essere a beneficio di tutti.
Fondamenti del nostro operare sono il ‘Giuramento di Ippocrate’, nonché il ‘Principio di precauzione’, non come etichette vuote, di facciata, ma come linee guida con cui ci confrontiamo continuamente. Chi scrive è Medico da oltre 45 anni e ritiene di aver agito sempre ‘secondo scienza e coscienza’: attribuisco di solito a tutti i miei colleghi, omeopati e non, lo stesso spirito di servizio, le stesse motivazioni di fondo. Pertanto, quand’anche l’agire di noi omeopati fosse fondato su di un’illusione, certamente non sarebbe stato per affabulazione, speculazione, sfruttamento di credulità o moda. L’agire in piena coscienza è un nostro requisito basilare, come spero sia per tutti gli operatori della Medicina, qualunque sia il proprio modello teorico di riferimento.
Di fronte al paziente ciascuno di noi opera una valutazione che tiene in conto tutti i fattori, non solo per la diagnosi ma anche per la prognosi, compresa la stima dei rischi e benefici che si possono avere con l’intervento medico. Non può essere un ‘protocollo’ la gestione del caso per fanatismo ideologico o fondamentalismo: non si può privare una persona di chirurgia o intervento farmacologico se fosse l’unica via possibile nel caso specifico. Ma ugualmente, quando si intravede la possibilità di una cura armoniosa, addirittura con migliori prospettive rispetto ad altre ‘protocollari’, non si può esitare ad applicarla: il rimedio omeopatico (insieme alla totalità del metodo) è uno strumento che ha potenzialità imprevedibili a volte, soprattutto nei casi in cui lo stato del paziente ha la capacità di esplicitarle.
            L’applicazione pratica del metodo terapeutico è fatta in prima persona su noi stessi, i nostri familiari, i nostri amici: tutte figure che testimoniano con il proprio stato di salute quanto sia valido il metodo stesso, pur senza la solidità richiesta dalla comunità scientifica alla consistenza dei numeri. Potrebbe essere una considerazione da cui muovere per mettersi umilmente ad osservare e cercare di capire insieme.
  • L’effetto placebo.
Di fronte a tali osservazioni, puntuale, si solleva l’obiezione dell’effetto placebo, da tutti conosciuto e che da solo giustificherebbe eventuali risultati positivi, quali quelli che tutti noi omeopati vantiamo e che sono per noi motivo di grande soddisfazione. Questi risultati sono peraltro molto evidenti, oserei dire eclatanti, in molte circostanze, prevalentemente in casi di malattie croniche, verso cui la Medicina Accademica propone spesso solo interventi palliativi. 
La replica infatti è relativamente semplice, già in questi casi cronici in cui il solo effetto placebo difficilmente può sostenere guarigioni di un certo rilievo. Ancor di più poi in tanti altri campi in cui l’applicazione dell’omeopatia si evidenzia indubitabilmente: dall’uso pediatrico, anche neonatale, all’uso in veterinaria, sia verso animali da compagnia (ancora effetto placebo?) che da allevamento; la casistica è ormai di una certa rilevanza se solo la si volesse prendere in considerazione. Recentemente, a rafforzare il riscontro della capacità curativa dei rimedi omeopatici si è aggiunta la Agro-omeopatia, con risultati davvero sorprendenti.
Non si sta allora perdendo, sulla base solo di un pregiudizio, una grossa opportunità per la salute collettiva, oltreché individuale, nonché ambientale, considerando anche l’enorme divario in termini di sostenibilità tra Omeopatia e Farmacoterapia chimica?
  • L’altra faccia della medaglia
Veniamo appunto alla potenziale nocività della non applicazione dei protocolli terapeutici, argomento principe per i detrattori delle cure omeopatiche. Va innanzitutto sottolineato come si parli in genere di protocolli abbastanza aridi, da essere oggetto di critiche da più parti e da tentativi di superamento, quale la ‘Medicina Personalizzata’. Un punto che va evidenziato a proposito dei protocolli è che derivano meccanicamente dall’EBM, la Evidence Based Medicine: per quanto tutti aspiriamo ad applicare indicazioni frutto di prove scientifiche, questa impostazione oggi dominante poggia su ricerche assolutamente di parte, totalmente in mano all’industria, fondate su statistiche spesso viziate da conflitti di interesse. 
La terapia omeopatica non è assolutamente basata su indicazioni esterne alla relazione di cura, in omeopatia gli aspetti appena considerati non esistono e la valenza economica del procedimento è minima. Esistono le persone con le loro storie, non ‘malattie’ spersonalizzate, esiste un rapporto medico-paziente improntato al rispetto, all’empatia (quello, forse, che curiosamente fa parlare di ‘effetto placebo’): il risultato è una maggiore comprensione ed attenzione da parte dell’omeopata, che manca ormai del tutto nella Medicina Accademica e nella sua applicazione all’interno della società.
Oggi si parla tanto appunto di questa Medicina Personalizzata, come evoluzione del Modello di Medicina biochimica, perché permetterebbe di tener conto delle particolarità di ogni persona nell’applicazione delle terapie. L’Omeopatia è per natura una Medicina personalizzata: la scelta del rimedio non può prescindere dall’aspetto individuale della patologia che si affronta, elemento cardine dell’impostazione terapeutica.
In questo approccio individualizzato, come già accennato, nessun omeopata si sognerebbe di rinunciare a possibilità terapeutiche estranee al proprio modello di riferimento, se ritenute migliori, più vantaggiose per il soggetto; peccato non avvenga il contrario, dovrebbe essere così anche da parte degli altri medici.
Come ogni medico quindi, di fronte al paziente, anche l’omeopata fa una valutazione che consideri le prospettive della cura e decide ‘in scienza e coscienza’ cosa proporre. Regolarmente, tutti i medici sono sempre chiamati a scegliere, volta per volta, tra intervento farmacologico e chirurgia, tra un farmaco ed un altro ed è così anche nella relazione omeopatica.
  • La sperimentazione
Si faceva cenno poco fa all’individualità della prescrizione omeopatica come elemento determinante: è il motivo per cui sono inutili sin dai presupposti tutti gli studi di confronto o di verifica sull’efficacia dell’omeopatia. Non si può valutare l’efficacia di un determinato rimedio su di una patologia perché non è possibile, per sua natura, la ripetibilità degli esperimenti secondo i canoni tradizionali. Se si volesse prendere in considerazione veramente la validità dell’omeopatia, bisognerebbe cambiare i metodi di analisi, accettare i canoni propri della metodica, non pretendere una dimostrazione impossibile. 
L’omeopatia nella sua totalità è basata su sperimentazioni che avvengono a monte del processo di cura e che servono a mettere in luce gli effetti provocati dalle sostanze studiate, mediante l’assunzione da parte di soggetti sani, spesso gli stessi medici: questa sperimentazione avviene secondo il metodo del ‘doppio cieco’ e si svolge secondo rigorose linee guida precostituite. Nella clinica invece è possibile solo prendere in esame le documentazioni che ciascun medico ha a disposizione, basate su etichette diagnostiche, esami di laboratorio, ma ‘soggettive’, quindi per natura ‘non ripetibili’ e non estrapolabili in valori statistici. 
  • Integrazione possibile?
Questa validazione sull’efficacia è ricercata a volte anche dall’interno del mondo omeopatico, ma il confronto attualmente non è possibile, visto che da parte del mondo accademico si ostenta solo non-ascolto e non-considerazione. Parimenti, da più voci omeopatiche, si chiede un riconoscimento, costantemente negato, nell’applicazione terapeutica, sicuramente perché stanchi di una assurda emarginazione. 
A livello teorico credo che sia molto difficile tale ammissione da parte del mondo accademico. In base alle considerazioni presentate finora ritengo che sia incolmabile il divario tra le due metodiche in esame e quindi non sia possibile un rapporto preformato; ritengo i due modelli di Medicina incommensurabili, in base ai canoni della Filosofia della Scienza. 
Questa affermazione non vuole avere alcun carattere integralista, parliamo di difficoltà teoriche legate alle differenze di linguaggio. Parlare di un modello di Medicina Integrata è purtroppo un controsenso, se le metodiche terapeutiche non hanno linguaggi comuni. Diverso è il riscontro clinico, pratico. Ho sottolineato più volte il ruolo responsabile del medico omeopata nel saper discernere le possibilità di intervento e questo comporta il rispetto per ogni altra impostazione terapeutica che si voglia affiancare alla cura omeopatica, quando necessario e possibile, senza contrasto. Lo stesso discernimento sarebbe richiesto al mondo della Medicina Accademica in vista di una collaborazione non conflittuale ma sinergica, però non preformata e precostituita: altrimenti il ruolo dell’Omeopatia sarebbe per forza di cose subalterno, svilendo le sue potenzialità, che invece meritano un interesse decisamente maggiore ed a più ampio raggio.
  • Conclusioni
Il discorso deve per forza di cose essere snello, perché l’intento è di dare spunti di riflessione e non vere e proprie conclusioni. Oltretutto, nel complesso, la capacità di ascolto è molto difficile da ‘praticare’, ancor di più quando serve come premessa per un confronto che equivale a mettere in discussione le proprie certezze: faccio riferimento a quanti, da tecnici, ricercatori, scienziati, potrebbero essere interessati direttamente a quanto detto finora. 
La premessa di Hahnemann al suo lavoro di ricerca, le prime parole della sua opera principale sono: “Compito altissimo e unico del medico è di render sani uomini malati, ciò che si dice guarire”. Non può che essere valido per tutti i medici, per cui gli altri aspetti del lavoro professionale di ogni operatore dovrebbero passare in secondo piano. Di fronte ad una affermazione del genere, apparentemente scontata, ma spesso lontano dalla realtà, non vi può essere ideologia, integralismo, per un Modello di Medicina rispetto ad un altro. Ma, parimenti, l’apertura mentale dello scienziato non può ignorare aprioristicamente ciò che risulta oggettivamente come frutto di una tale ricerca (trovare un modo efficace per curare), quindi anche il nostro metodo omeopatico, risultato della grande analisi di un medico che cercava di curare efficacemente, in un tempo in cui gli strumenti a disposizione erano veramente scarsi.
Se il riferimento del proprio interesse è il malato con la sua ‘patologia’, risolvere la sofferenza di una persona (= pathos), l’ascolto e l’umiltà devono essere sempre al primo posto, prima ancora del logos.

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