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Una scuola diversa

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Sandra Sartorelli ha preso parte quest’anno alla conferenza dell’Eudec (European Democratic Education Community), l’organismo internazionale che si occupa, a livello europeo, di educazione nelle scuole libertarie; a rappresentare l’Italia erano in tre, va quindi rilanciato l’invito a conoscere di cosa si tratta. Sandra è insegnante alla scuola statale, da anni si occupa di educazione alternativa e fa parte dell’Eudec. Ecco il suo racconto dell’esperienza olandese.
La “De Ruimte” è una scuola olandese situata nei pressi di Soest, vicino ad Utrecht. Ospita studenti dai 4 ai 18 anni d’età ed è stata fondata circa una decina d’anni fa in una zona verde, di circa 3 ettari, molto piacevole, vicina a boschi e dune. Fin qui niente di straordinario, ci sono scuole di campagna situate in luoghi molto belli anche in Italia. Ma la “De Ruimte” è una scuola democratica che, come  tutte le scuole di questo tipo, si basa su tre principi fondamentali: uguaglianza, responsabilità e libertà. L’uguaglianza ed il rispetto reciproco sono estesi non solo alle persone appartenenti ad una stessa categoria, nelle riunioni tra insegnanti, per esempio, o tra adulti, o tra scolaro e scolaro, ma sono il metro di ogni rapporto: ad una riunione il voto di un bambino piccolo ha lo stesso valore di quello di un adulto, che questo sia un’insegnante, un membro dello staff o un genitore, non ha importanza. Tutti vengono ascoltati e considerati allo stesso modo.
La responsabilità è poi condivisa e molto sentita anche dai ragazzi.
Per quanto riguarda la libertà, invece, nessuno è obbligato a fare niente e tutti sono liberi di operare scelte personali o di gruppo.
Studenti e staff si riuniscono una volta a settimana e, sedendo in cerchio, prendono delle decisioni sulla base delconsenso.Si tratta del metodosociocratico.In cosa consiste? Dopo essersi scambiati punti di vista ed opinioni, i partecipanti, seduti naturalmente in cerchio, promuovono ogni mozione solo se nessuno ha obiezioni da fare. Se qualcuno ne ha, lo si ascolta e gli si chiede di dare una sua soluzione al problema – e di solito il nuovo intervento arricchisce la prima formulazione – poi questa soluzione viene proposta al gruppo e, se nessuno si oppone, passa col consenso, cioè col benestare di tutti.
Quest’anno la conferenza annuale dell’EUDEC (european democratic education community), l’organizzazione no profit che promuove l’educazione democratica in Europa, si è tenuta proprio nella scuola di Soest tra la fine di luglio ed i primi giorni di agosto. 240 tra bambini, ragazzi e adulti, partecipanti ai lavori della conferenza, si sono spartiti per una settimana gli ampi spazi sia interni che esterni, messi a disposizione degli ospiti dai padroni di casa.
Con il sistema dell’open space, chiunque lo desiderasse poteva coinvolgere il pubblico offrendo un proprio contributo in unworkshopautogestito. In questo modo sono emerse interessanti idee, metodologie educative e resoconti di quella che è la realtà scolastica dei 28 paesi da cui i partecipanti provenivano, paesi non solo strettamente europei, perché vi erano anche validi rappresentanti delle scuole di Taiwan, Turchia, Israele e Stati Uniti d’America. Spesso i seminari erano del tipolearning by doing, ovvero imparare facendo: provando di persona certe tecniche, invece che ascoltare in teoria come sono concepite, è più facile acquisirle.
In un melting pot di lingue, nazionalità, usi e costumi, veniva usato l’inglese come lingua veicolare. Durante la settimana si sono anche svolte le elezioni del nuovo consiglio el’annual general meetingdell’associazione.  Nella giornata conclusiva dei lavori sono stati invitati degli esperti educatori, antropologi, psicologi, pedagoghi, sociologi, quasi tutti ricercatori universitari, che hanno tenuto i loro discorsi davanti ai membri dell’associazione e anche alla popolazione olandese invitata a partecipare.
Non sono mancati i momenti conviviali e di divertimento collettivo. Oltre ad offrire la possibilità di chiacchierare un po’ con tutti, lo staff locale ha organizzato anche delle serate musicali, danzanti e untalent show.
Bisogna dire che questo è il programma che si ripete un po’ ogni anno durante laconference( laquale ha luogo ogni volta in un paese diverso) e  riscuote sempre un certo successo.
Quello che colpisce durante la settimana di attività è la capacità dei più giovani di parlare lingue straniere, di discutere e di esporre il proprio punto di vista esattamente come di solito fanno gli adulti, di essere autonomi, responsabili e disinibiti. Se li si vede all’opera non si può che pensare che  un’educazione concepita secondo il principio dellanon imposizionesia del tutto favorevole per la maturazione personale dei discenti.
Attraverso l’apprendimento informale ed il gioco i ragazzi imparano ad imparare e lo fanno senza esservi costretti, mantenendo così una buona dose di curiosità e voglia di conoscere che li porta ad acquisire competenze almeno al pari (se non maggiori) di chi invece, nella scuola pubblica, è obbligato a provare la noia dell’apprendimento formale. Da subito le scelte operate da loro stessi, anche quando si tratta di bambini piccoli, li indirizzano verso gli argomenti e le tecniche predilette, per cui sviluppano molto presto capacità selettive.
Un altro aspetto che colpisce nei bambini “liberi” è la loro fisicità, il loro muoversi senza paura, saltare, arrampicarsi, ballare in scioltezza, con agilità e il fatto che sappiano parlare anche davanti a un pubblico spesso adulto, senza timori. Chi se ne intende di psicomotricità sa quanto sia importante avere un corpo sciolto per essere veramente liberi anche nella mente. Osservandoli poi si può vedere che sanno risolvere i conflitti senza ricorrere, per esempio, alle mani. Si muovono in autonomia, senza la costante presenza di qualcuno che li sorvegli e i più grandi si prendono cura dei più piccoli e li sostengono. Si percepisce in loro una grande gioia di vivere. I più grandicelli sanno sostenere le proprie ragioni e discutere senza preconcetti. Una bambina di 11 anni, insieme ad un membro dello staff e ad un ragazzo più grande, ha risposto alle domande che i visitatori ponevano a proposito della scuola, siamo tutti rimasti impressionati dalla maturità delle risposte e da come queste venissero esposte in perfetta lingua inglese, la ragazza ha poi spiegato di avere una mamma  madrelingua britannica, ma anche su quest’ultimo punto, se rifletto, mi viene in mente che non tutti i miei alunni bilingue sono in grado di interloquire in quella maniera con gli adulti, anzi, forse nessuno. 
Ora : ricercatori universitari si sono detti interessati a conoscere ciò che avviene in Italia in fatto di educazione. A mio parere i cambiamenti sono praticamente nulli, siamo infatti uno dei paesi più statici in quanto a sistemi pedagogici. Anche in Turchia e a Taiwan si muovono nel senso del rinnovamento e fanno chilometri per venirci a raccontare i loro progetti, abbiamo potuto ascoltare le conferenze dei nostri colleghi giunti da questi paesi. 

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